Eleonora Duse non si truccava mai ed era bellissima. Recitava in italiano, anche quando era all’estero e tutti la capivano. Fu l’attrice più acclamata del suo tempo, forse la migliore di sempre. Aveva un carattere volitivo, e quando era sul palco, rendeva il corpo protagonista dello spettacolo, insieme alla sua voce. Le sue frasi sussurrate erano indimenticabili. Consapevole del suo carisma, scatenò una vera e propria rivoluzione nel teatro e molte altre attrici si ispirarono a lei.
UN PO’ DI VITA E DI ARTE
Nasce a Vigevano nel 1858 da due attori girovaghi e inizia a recitare fin da bambina. A poco più di 20 anni, sceglie la drammaturgia francese, molto amata nel periodo, che però lei stravolge. Le sue improvvisazioni, riempiono i testi teatrali da lei interpretati, di messaggi personali contro il perbenismo borghese, che lei odia. Tratta temi legati al denaro, sesso, famiglia e matrimonio, e parla del ruolo della donna mostrando l’ipocrisia della società di allora. La descrive luccicante all’apparenza, ma asservita al Dio denaro e quindi priva di emozioni sincere. Con la sua recitazione essenziale e priva di inutili virtuosismi, tipici della recitazione di allora, rompe tutti gli schemi, per avvicinarsi al gusto di una società nuova, volta al cambiamento. Sul palco e nella vita, segue il suo istinto e improvvisa spesso. La sua gestualità unica e la sua indiscussa bravura, le permettono di recitare ovunque in italiano, facendosi comunque capire dal pubblico.
Anton Cechov, noto drammaturgo russo, disse di lei:
“Ho proprio ora visto l’attrice italiana Duse in Cleopatra di Shakespeare. Non conosco l’italiano, ma ella ha recitato così bene che mi sembrava di comprendere ogni parola; che attrice meravigliosa!”
L’ANTICONFORMISMO PIU’ O MENO CALCOLATO
La Duse sentiva molto intensamente tutto ciò che recitava, anche perchè il lavoro si fondeva quasi sempre con la sua vita personale. Memorabile fu, quando, scoperto il tradimento del marito Tebaldo Checchi, Eleonora mostrò il seno nudo in scena e provocò uno scandalo pazzesco che portò il marito a migrare in Sud America e alla successiva rottura del matrimonio. Lei non faceva mai nulla per caso, in scena.
La sua apertura mentale la avvicinò a molte altre donne artiste, scrittrici, intellettuali del suo tempo: Matilde Serao, Laura Orvieto, Ada Negri, Sibilla Aleramo, Yvette Guilbert, Isadora Duncan, Camille Claudel. E non si negò amicizie amorose, come quella con Lina Poletti. Disapprovava le femministe molto aggressive, ma difendeva tutte le donne che lei chiama “donne reali”.
La Divina Duse, nella sua trasgressività continua, vestiva di viola, colore da sempre “vietato” tra gli attori e indossava i costumi di scena anche nella vita privata.
FINO ALLA FINE
Recitò con passione e sentimento fino alla fine della sua vita. Si esibì per l’ultima volta, con la febbre molto alta e la tosse, a Pittsburg, dove morì dopo pochi giorni per tubercolosi, nel 1924, sola, in una camera d’albergo. Venne sepolta ad Asolo, luogo da lei amato, come avrebbe sempre desiderato.
PASSIONE E TORMENTO
La loro storia è un continuo alternarsi tra periodi di vicinanza e collaborazione, a continui momenti di crisi e rotture. Durante la loro storia amorosa, D’Annunzio affittò una villa trecentesca a Firenze per potergli stare vicino. Nel 1900, pubblicò il romanzo Il fuoco, ispirato alla sua relazione con l’attrice. Ottenne ovviamente aspre critiche da parte degli ammiratori della Duse. Durante la Prima Guerra Mondiale, alla quale prese parte, D’Annunzio portò sempre con sé un anello di smeraldi, donatogli dalla Duse, convinto che lo proteggesse dalla morte. Dopo la loro separazione, D’Annunzio visse i restanti 14 anni della sua vita, struggendosi nel ricordo dell’attrice. Alla notizia della sua morte, ormai anziano, pare abbia mormorato «È morta quella che non meritai»
Al Vittoriale, la casa museo di D’Annunzio, troviamo ancora oggi, un busto raffigurante il volto di Eleonora, che il poeta chiamava “testimone velata”. La copriva infatti con un velo, ogni volta che si dedicava alla scrittura. Sosteneva che Eleonora non dovesse guardarlo mentre lavorava, ma fece mettere la statua nell’Officina, che era la sua stanza dedita alla scrittura.